
Indice
Il nuovo Regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, (AI Act), segna (finalmente…forse…) una svolta nel rapporto tra innovazione tecnologica e tutela giuridica. Tra le sue previsioni, un ruolo centrale è riservato alla formazione degli operatori che utilizzano sistemi di intelligenza artificiale nei diversi contesti lavorativi. Non si tratta di un adempimento marginale, ma di una misura essenziale per rendere effettivi i principi di trasparenza, affidabilità e responsabilità che sono alla base dell’intera normativa.
La Commissione Europea ha già fornito chiarimenti preliminari su questo punto. Non esisterà quindi un meccanismo di certificazione ufficiale dei percorsi formativi, ma le imprese dovranno dimostrare, in caso di controlli, di aver predisposto attività strutturate e di averne tenuto traccia. In concreto, ciò comporta l’obbligo di conservare registri aggiornati e documentazione che attesti sia la frequenza sia la coerenza dei moduli formativi rispetto alle mansioni svolte dai lavoratori. Non quindi un’etichetta formale, bensì la prova sostanziale di aver reso il personale consapevole e preparato.
Formazione modulare e differenziata
L’AI Act abbandona l’idea di un corso unico per tutti e opta per un approccio graduato, calibrato in base alla tipologia di sistema impiegato e al livello di rischio associato. L’addestramento necessario a un impiegato che utilizza quotidianamente un chatbot conversazionale non potrà coincidere con quello richiesto a chi lavora su piattaforme di riconoscimento biometrico, classificate come ad alto rischio.
Il modello europeo punta quindi a una formazione modulare, in cui ogni percorso è costruito sulla base della sensibilità del ruolo ricoperto e delle implicazioni tecniche e legali del sistema di AI coinvolto. Per i sistemi ad alto rischio, le competenze richieste dovranno comprendere non solo aspetti operativi, ma anche la capacità di valutare conseguenze etiche, giuridiche e di sicurezza. In contesti a rischio limitato, invece, l’enfasi cadrà sull’uso corretto e sulla prevenzione di distorsioni o abusi.
Da un punto di vista legale, la formazione diventa un tassello imprescindibile nella catena di responsabilità condivise tra sviluppatori, fornitori e utilizzatori di sistemi di AI. Un’impresa che non pensi di preparare in modo adeguato i propri dipendenti, non solo si espone a sanzioni per inadempienza normativa, ma potrebbe correre il rischio di vedersi attribuire responsabilità civili o addirittura penali in caso di danni a terzi.
La documentazione dei percorsi formativi assume dunque un valore probatorio, ossia può rappresentare la principale difesa dell’azienda nell’eventualità di contenziosi. In questo senso, la formazione non è soltanto uno strumento di prevenzione, ma anche un mezzo per ridurre il rischio legale e rafforzare l’accountability complessiva.
Le parole di Mario Draghi
L’ex Presidente della BCE, Mario Draghi, chiamato a riflettere per la Commissione Europea sul tema della competitività, ha sottolineato che l’AI Act non deve essere letto come un vincolo burocratico, bensì come una leva di fiducia. Questo vuol dire che solo cittadini e lavoratori adeguatamente formati potranno sviluppare un rapporto equilibrato con l’intelligenza artificiale, percependone i benefici senza subirne passivamente i rischi.
In questo quadro, la formazione non rappresenta un mero adempimento amministrativo, ma una condizione per garantire che l’Europa resti competitiva in un mercato globale sempre più polarizzato. L’alfabetizzazione all’AI diventa così non solo uno strumento di tutela dei diritti fondamentali, ma anche un investimento strategico per l’economia del futuro.
Conclusioni
Il messaggio che emerge dal nuovo quadro regolatorio è molto chiaro (si spera a molti): non conta possedere un certificato formale, quanto poter dimostrare la sostanza delle azioni intraprese. La sostanza è fatta di percorsi differenziati, di tracciabilità delle attività, di responsabilizzazione dei dipendenti e, soprattutto, di consapevolezza.
Le imprese chiamate a confrontarsi con l’AI Act devono quindi investire non solo in infrastrutture tecnologiche, ma anche nel capitale umano, che rappresenta ed è sempre il vero presidio di legalità e di affidabilità. È in questo equilibrio che si gioca la partita europea. Perchè un’AI regolata, compresa e gestita con responsabilità non è un ostacolo all’innovazione, ma la premessa necessaria per trasformarla in un motore di crescita sostenibile.