
Meta ha fatto un’altra delle sue tipiche mosse, presentare prototipi di visori VR talmente avanzati da far impallidire tutto quello che abbiamo mai indossato in faccia, per poi sussurrare sottovoce che “eh, ma sono solo esperimenti di laboratorio“. Parliamo di Tiramisu e Boba 3, due gioielli tecnologici mostrati al SIGGRAPH 2025 che rappresentano tutto quello che potrebbe essere il futuro della realtà virtuale, se solo decidessero di farceli comprare.
Tiramisu, quando il cervello va in cortocircuito
Il primo prototipo, dal nome dolcemente italiano che ci fa venire voglia di caffè, è Tiramisu. Questo visore è quello che succede quando gli ingegneri di Reality Labs decidono di rispondere alla domanda “ma quanto realistico può diventare un display VR?” con un sonoro “teniamoci forte e vediamo“. I numeri parlano chiaro: 90 pixel per grado contro i 25 del Quest 3 e i 34 dell’Apple Vision Pro. Per chi non mastica specifiche tecniche, significa che la risoluzione è talmente alta che distinguere un mondo virtuale dalla realtà diventa un esercizio per filosofi più che per utenti.
La magia di Tiramisu sta nei display µOLED che raggiungono 1.400 nit di luminosità massima, quattordici volte superiore al Quest 3. Provate solo a pensare di poter guardare direttamente il sole in VR senza bruciarvi le retine ma con tutto il realismo del caso. Il contrasto è triplo rispetto ai visori attuali, il che significa neri più neri e bianchi più bianchi, come se il mondo virtuale avesse improvvisamente imparato a fare il bucato meglio della vostra nonna. Gli ingegneri di Meta sostengono che il cervello “non capisce più la differenza tra realtà e finzione“, il che potrebbe essere fantastico per l’immersione o terrificante per la nostra sanità mentale, a seconda dei punti di vista.
Boba 3 e l’abbraccio totale
Dall’altra parte del laboratorio, i colleghi stavano lavorando su Boba 3, il visore che ha deciso di conquistare il mondo attraverso l’ampiezza invece che la definizione. Con un campo visivo di 180 gradi in orizzontale e 120 in verticale, questo prototipo praticamente avvolge la vostra visione come una coperta tecnologica. Per confronto, il Quest 3 si ferma a 110×96 gradi, che improvvisamente sembrano i parametri di una televisione degli anni Novanta.
L’approccio di Boba 3 è interessante perché punta sull’immersione totale. Quando il vostro campo visivo periferico è completamente occupato da contenuti virtuali, il cervello smette di cercare appigli nella realtà e si abbandona completamente all’esperienza digitale. È come la differenza tra guardare un film al cinema e guardarlo sul telefono, tecnicamente è lo stesso contenuto, ma l’impatto emotivo cambia radicalmente. La cosa curiosa è che questo visore riutilizza molti componenti hardware esistenti di Meta, il che lo renderebbe teoricamente più facile da produrre rispetto al suo fratello ultra-definito.

Il solito gioco delle promesse tecnologiche
Naturalmente, come ogni buona presentazione di prototipi che si rispetti, arriva il momento della doccia fredda. Questi visori potrebbero non vedere mai il mercato commerciale, ci informano dalle parti di Menlo Park. È il classico approccio tech: mostrarci il futuro con una mano e tenerlo fuori dalla nostra portata con l’altra. Certo, Boba 3 sembra essere assolutamente destinato al rilascio, secondo alcune fonti, ma dopo anni di promesse sul Metaverso che doveva rivoluzionare tutto e invece ci ha regalato principalmente avatar senza gambe e meeting aziendali in realtà virtuale, un po’ di sano scetticismo è d’obbligo.
La verità è che questi prototipi rappresentano due filosofie diverse ma complementari per il futuro della VR. Tiramisu dice “facciamo tutto così realistico che la realtà sembrerà obsoleta“, mentre Boba 3 sussurra “circondiamo completamente l’utente fino a farlo dimenticare del mondo esterno“. Sono approcci diversi allo stesso obiettivo, ossia creare un’esperienza talmente coinvolgente da giustificare l’esistenza stessa della realtà virtuale oltre i videogiochi e le demo aziendali.
Se l’AI incontra il Metaverso
Qui però la storia si fa interessante davvero, perché questi prototipi arrivano in un momento cruciale per l’ecosistema tecnologico. Mentre Meta ci mostrava questi gioielli di ingegneria, dall’altra parte del mondo l’intelligenza artificiale stava facendo passi da gigante che potrebbero finalmente dare un senso al Metaverso. Non parliamo più solo di indossare un visore per visitare mondi virtuali pre-costruiti, ma di entrare in universi che si generano e si adattano in tempo reale alle nostre interazioni, popolati da personaggi AI che hanno conversazioni significative e reagiscono alle nostre emozioni.
Immaginate un mondo virtuale dove ogni oggetto, ogni personaggio, ogni paesaggio può essere creato al volo dall’AI in base alle vostre preferenze, al vostro umore, alle vostre necessità del momento. Un Tiramisu con la sua risoluzione iperrealistica potrebbe renderci indistinguibili questi mondi generativi dalla realtà, mentre un Boba 3 con il suo campo visivo totale ci farebbe dimenticare completamente di essere in un ambiente artificiale. L’AI non sarebbe più solo il cervello che gestisce l’esperienza, ma diventerebbe il tessuto stesso della realtà virtuale.
Il mondo virtuale che non ti aspetti
Il Metaverso che Meta ci ha venduto finora è stato principalmente una versione 3D di Second Life con grafica migliore e più budget marketing. Spazi virtuali dove andare a socializzare, comprare terreni digitali NFT, partecipare a eventi aziendali fingendo che sia più coinvolgente di una videochiamata. Ma la convergenza tra hardware avanzato come questi prototipi e AI generativa cambia completamente le carte in tavola.

Stiamo parlando di mondi che non esistono fino al momento in cui decidiamo di esplorarli, popolati da esseri artificiali che hanno storie, personalità e obiettivi propri. Ambienti che si evolvono e cambiano in base alle nostre azioni, che imparano dalle nostre preferenze e creano esperienze personalizzate in tempo reale. Il tutto reso con una qualità visiva che inganna il cervello e un campo visivo che elimina ogni distrazione dal mondo reale. In questo scenario, il Metaverso non sarebbe più una destinazione dove “andare”, ma diventerebbe un layer aggiuntivo della realtà. Un mondo parallelo dove le leggi della fisica sono suggerimenti, dove la creatività non ha limiti tecnici, dove ogni interazione può essere magnifica quanto la nostra immaginazione e quella dell’AI che ci assiste.
La rivoluzione che forse non vedremo (subito)
Naturalmente, c’è un piccolo dettaglio, tutto questo rimane nel regno delle possibilità finché questi prototipi restano nei laboratori di Meta. È il classico dilemma dell’innovazione tecnologica: abbiamo le idee, abbiamo le competenze, probabilmente abbiamo anche la tecnologia, ma tra il prototipo funzionante e il prodotto commerciale c’è un abisso fatto di costi di produzione, batterie che durano più di venti minuti, e la necessità di convincere le persone a indossare qualcosa di più pesante di un paio di occhiali. Ma forse è proprio questo il punto. I prototipi come Tiramisu e Boba 3 non sono prodotti, sono dichiarazioni di intenti. Sono il modo di Meta di dire “ecco dove stiamo andando, anche se non sappiamo ancora quando arriveremo“. E in un settore dove l’hype cycle è più imprevedibile del meteo inglese, questa trasparenza è quasi rinfrescante.
La vera domanda non è se vedremo mai questi visori sugli scaffali, ma se quando arriveranno il mondo sarà pronto per quello che rappresentano. Perché la combinazione di hardware così avanzato e AI generativa non promette solo una migliore esperienza di intrattenimento, ma una ridefinizione completa di cosa significhi reale in un’epoca in cui il digitale e il fisico si stanno fondendo in modi che nemmeno i più visionari futurologi degli anni Novanta avevano immaginato.
Conclusioni da chi ha visto troppi prototipi
Come venticinquenne che ha vissuto l’evoluzione della tecnologia dai primi smartphone ai visori VR attuali, ho imparato a non emozionarmi troppo per i prototipi. Ma Tiramisu e Boba 3 sono diversi perché arrivano nel momento giusto della storia tecnologica, quando l’AI sta finalmente mantenendo le promesse che faceva da decenni e quando la potenza computazionale inizia a essere sufficiente per gestire mondi virtuali complessi in tempo reale.
Probabilmente non compreremo questi specifici visori l’anno prossimo, o forse neanche quello dopo. Ma le tecnologie che rappresentano stanno convergendo verso qualcosa di straordinario, e per una volta l’hype potrebbe essere giustificato. Il Metaverso del futuro non sarà una collezione di stanze virtuali dove fare meeting, ma un universo parallelo dove la realtà è quello che decidiamo debba essere, reso possibile da hardware che inganna i sensi e AI che alimenta l’immaginazione.
E se tutto questo vi sembra fantascienza, ricordatevi che dieci anni fa anche l’idea di parlare con un’intelligenza artificiale sembrava roba da film. Ora eccoci qui, a discutere di visori che potrebbero farci dimenticare qual è la differenza tra reale e virtuale. Il futuro ha questa strana abitudine di arrivarci addosso quando meno ce lo aspettiamo.